ud, screening sugli investimenti Pa
Uno dei paradossi delle politiche per il Mezzogiorno, l’impiego di risorse straordinarie per sostituire di fatto quelle ordinarie, viene a sorpresa rimesso in discussione dal governo. Un emendamento parlamentare al decreto Mezzogiorno, riformulato dall’esecutivo e approvato alla Camera, impone ora un monitoraggio per accertare indebiti travasi che alla fine rendono meno efficace la spesa pubblica aggiuntiva al Sud.
Entro il prossimo 30 giugno un decreto del presidente del Consiglio, su proposta del ministero dell’Economia, sentito il ministro della Coesione territoriale e il Mezzogiorno, definirà le modalità con cui effettuare il monitoraggio sulla spesa erogata. In pratica, a partire dalla prossima legge di bilancio,le amministrazioni pubbliche dovranno rispettare l’obiettivo di destinare agli interventi in Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna un volume complessivo annuale di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento o conforme ad altro criterio che sarà stabilito da Palazzo Chigi. Il ministero per la coesione territoriale presenterà annualmente alle Camere una relazione sui risultati.
Intervenendo ieri in audizione alla commissione Politiche Ue del Senato, il ministro per la coesione Claudio De Vincenti ha riassunto così l’obiettivo dell’emendamento: «Garantire un’equa distribuzione di spesa ordinaria in conto capitale, in relazione a precisi indicatori, lasciando così alle risorse straordinarie il compito di colmare il divario con il Centro-Nord». Le risorse straordinarie o aggiuntive che dir si voglia, ha ricordato De Vincenti, prevedono una differenziazione a favore del Mezzogiorno: 70% per i fondi Ue, 80% per il Fondo sviluppo e coesione.
Ma l’efficacia dell’emendamento sarà tutta da provare. Il primo elemento da considerare è che il monitoraggio riguarderà solo i ministeri e non il sistema pubblico allargato, che avrebbe incluso anche aziende come Fs che negli anni hanno diminuito gli investimenti al Sud. Non sono poi previste sanzioni. E i criteri per fissare l’equa ripartizione per ora appaiono molto larghi. Soprattutto se si pensa qual era il punto di partenza. Con la nuova programmazione di Ciampi e Barca, alla fine degli anni 90, fu fissato un obiettivo minimo del 45% di spesa in conto capitale al Sud. Target progressivamente disatteso, cancellato dal secondo governo Berlusconi e poi non più ripristinato. Oggi, sulla base degli ultimi Conti pubblici territoriali, ci si attesta intorno al 37%. È dal 2004 – rileva Banca d’Italia nel rapporto sulle economie regionali – che la spesa in conto capitale in termini reali ha iniziato a ridursi nel Mezzogiorno. Il 2015 segna un’inversione di tendenza, ma solo grazie alla rincorsa per chiudere le spese di fondi europei del ciclo iniziato nel 2007. Con il risultato paradossale che l’effetto di sostituzione di risorse aggiuntive rispetto alle ordinarie si enfatizza proprio nel 2015.
«Perché quel che accade – commenta Gianfranco Viesti, docente di economia all’Università di Bari – è che, mentre c’è questo aumento, c’è una contrazione delle ordinarie per gli investimenti pubblici. Si passa da 10 miliardi di spesa della Pa in conto capitale al Sud nel 2008-2010, a poco più di 5 miliardi oggi. Nel frattempo il Fondo sviluppo e coesione è sceso da circa 4 miliardi di spesa annua 2008-2010, a 2,8 miliardi nel 2012/2013, a 1,4 miliardi nel 2014/2015».
Il decreto Mezzogiorno, ieri in Aula a Montecitorio passa ora al Senato. Tra le altre misure, contiene il rafforzamento del credito d’imposta per gli investimenti al Sud, 24 milioni per la Cigs all’Ilva, l’allargamento della platea macchinari per gli incentivi di Industria 4.0.
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