Settimo Torinese «chiave a stella» dell’industria
Vista la concorrenza, a prima vista non c’è partita. Cosa contrapporre ai fasti del barocco palermitano, alle aree archeologiche di Ercolano o di Aquileia, ai “sapori” medievali di Trento, all’”ermo colle” di Recanati? E poi il mare e le spiagge, i monti e le valli, paesaggi mozzafiato e richiami per turisti da tutto il mondo che caratterizzano siti grondanti di arte e storia, in grado di raccontare attraverso i propri monumenti gli eventi e i popoli degli ultimi due millenni.
Più che possibile, visto il “curriculum”, che sia uno di questi luoghi ad aggiudicarsi, con merito, il titolo di capitale italiana della cultura 2018, qualifica che verrà assegnata alla fine del mese selezionando il vincitore tra i dieci finalisti rimasti in gara.
Siti Unesco e nomi roboanti non hanno però spaventato Settimo Torinese, cintura nord-est del capoluogo piemontese, comune da 48mila abitanti, per stessa ammissione del comitato promotore «privo di reggia, castelli, cattedrali rinomate, monumenti simbolo».
Non certo una città d’arte, dunque, piuttosto un luogo che ha saputo utilizzare la cultura come momento di rinascita e riscatto, trovando una via originale per superare anche la crisi della grande industria, a lungo elemento caratterizzante e quasi totalizzante per l’intero territorio.
Da piccolo borgo agricolo e di lavandai lungo le rive del Po, Settimo si trovò nel giro di pochi anni catapultata nell’era industriale, con una popolazione quadruplicata attraverso i flussi migratori attratti dagli insediamenti manifatturieri che andavano moltiplicandosi: dall’acciaio agli pneumatici, dalle vernici alla farmaceutica.
Con la più alta concentrazione di case popolari dell’intero paese, Settimo era di fatto avviata a diventare una città-dormitorio, semplice luogo di transizione per famiglie in vista di tempi migliori. La traiettoria è stata però diversa, grazie ad un’intuizione di fine anni ’70, con la fondazione del Laboratorio Teatro Settimo al Garybaldi, esperienza che ha visto crescere ed affermarsi artisti quali Alessandro Baricco, Marco Paolini, Laura Curino.
Punto di svolta che ha portato Settimo a sviluppare negli anni altre iniziative culturali di rilievo, costruendo biblioteche, parchi cittadini, recuperando vecchi siti industriali e rilanciando in chiave moderna la manifattura che ancora insiste sul territorio, come dimostrano i casi Pirelli, L’Oréal, Lavazza.
Ma l’esperienza forse più paradigmatica è nella rinascita come centro della memoria e dell’impegno della Siva, fabbrica di vernici in cui a lungo lavorò come chimico Primo Levi.
L’interprete più grande non solo della tragedia dell’Olocausto, ma anche del valore fondante del lavoro, dell’esaltazione di un’etica del fare che trova la sua sintesi nello svolgimento al meglio del proprio compito: un valore in sé, a prescindere da altre considerazioni.
Un interprete perfetto per una cittadina che proprio dal connubio virtuoso tra manifattura e cultura ha saputo trovare una nuova via verso lo sviluppo. Niente regge o castelli, nessuna cattedrale o monumenti simbolo. Ma qui la cultura, in senso lato, ha davvero funzionato. E Settimo Torinese, in audizione al Ministero dei Beni culturali l’11 gennaio, sfidando tra gli altri Trento, Palermo, Recanati, Ercolano e Aquileia, ci prova lo stesso.
«Perché – scriveva Levi ne “La Chiave a Stella” – quando c’è la fame uno si fa furbo».
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