L’export italiano recupera a fatica

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By Federdat Gennaio 23, 2017 09:06 Updated

L’export italiano recupera a fatica

Gli ultimi dieci anni di storia del commercio estero mondiale si dividono grosso modo in due parti: prima e dopo il 2011. L’Italia da che parte sta? Dopo il tracollo del 2009, infatti, nel giro di due anni gli scambi globali sono sì tornati ai livelli pre-crisi, ma solo come valore aggregato globale. I singoli Paesi, invece, si sono divisi in due squadre: quelli che hanno recuperato e quelli che non ci sono riusciti. L’Italia è stata fra i secondi.

È questo il neo più grosso, se si guarda alla storia del commercio estero italiano degli ultimi dieci anni comparandolo con le sorti dei suoi competitor storici sullo scacchiere globale – la Germania e la Francia – e con i destini dei due big player planetari, cioè gli Usa e la Cina. Perché per il resto, per una volta, il nostro Paese non è andato male. Ha mantenuto un posto nella top ten dei maggiori esportatori. Dopo la botta del 2009 ha visto risalire i propri volumi di export. E ha saputo riposizionarsi quanto basta verso quei mercati dove la domanda stava crescendo di più, emergenti – come la Cina e il Sud-Est asiatico – oppure avanzati che fossero, come gli Stati Uniti.

La prima reazione alla crisi

Ma andiamo con ordine. Il commercio mondiale comincia a crollare nella seconda metà del 2008, come effetto della crisi che si propaga dal settore finanziario. Nel 2009 tracolla: -22,3 per cento. E chi subisce di più sono proprio le economie basate sulle esportazioni: «L’Italia naturalmente è tra queste – ricorda Alessandro Terzulli, chief economist di Sace – e infatti il suo export crolla di circa il 18 per cento. Ma crollano anche Germania, Giappone e Corea del Sud». Quanto è stato perso nel 2009, però, viene recuperato nel 2011: secondo i dati della Wto, il commercio mondiale torna a 18.400 miliardi di dollari (era a 16.160 miliardi nel 2008) e anche Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, Spagna e Giappone centrano il recupero. L’Italia? Secondo i numeri della Wto resta indietro (508 miliardi di dollari contro i 531 miliardi del 2009), ma comunque cresce parecchio rispetto al 2010.

«In realtà – sostiene Terzulli – se usiamo i dati Oxford Economics, le cui modalità di stima possono differire da quelle della Wto, si vede che anche l’Italia nel 2011 torna ai livelli del 2008. Di certo, comunque, lo fa poco dopo». Il nostro recupero, insomma, è avvenuto più lentamente rispetto alla media mondiale, ma è avvenuto. «Soprattutto a partire dal 2013 – prosegue Terzulli – anche le nostre imprese hanno saputo attrezzarsi per riposizionarsi sui mercati a più alta crescita». Non necessariamente emergenti, visto che una fetta del nostro recupero è merito della domanda americana.

Ritmo più lento per tutti

DIECI ANNI DI EXPORT NEL MONDO
Beni in miliardi di dollari. (Fonte: Wto e World Bank)

Dopo il 2011, niente è stato più come prima. Per tutti, Italia e suoi competitor: «Tra il 2012 e il 2014 – ricorda Terzulli – il tasso medio di crescita è stato dell’1,2%, mentre tra il 2000 e il 2008 i tassi erano sempre stati al di sopra del 5 per cento».
Dimentichiamoci questi livelli: «Dal 2013 in poi gli scambi mondiali, quando va bene, aumentano del 3% all’anno. Un po’ perché il ciclo degli investimenti nei Paesi emergenti, anche là dove è ripartito, non ha raggiunto più i tassi del passato. E un po’ perché ha rallentato il ritmo con cui vengono create nuove catene globali del valore, grazie alle quali per realizzare un prodotto serve importare diversi componenti da Paesi diversi». E per i prossimi cinque anni? «Non c’è da aspettarsi nulla di diverso», avverte Terzulli. Quando andrà bene, insomma, la crescita si aggirerà intorno al 3 per cento.

Quote di mercato
Nella classifica dei maggiori esportatori mondiali, in questi dieci anni l’Italia ha perso posizioni: era settima nel 2008, con una quota pari al 3,4%, è diventata decima nel 2015, con il 2,8 per cento. Ma la discesa è di quelle fisiologiche e l’hanno fatta tutti, dalla Germania (prima nel 2008 e ora terza) alla Francia (era sesta, è scesa all’ottavo posto). Il motivo? È la cavalcata cinese, unico Paese che ha saputo recuperare lo shock del 2009 già nel 2010 e da allora non ha smesso mai di crescere, passando da 1.430 miliardi di dollari di export nel 2008 a 2.274 miliardi nel 2015 e diventando da secondo a primo Paese nella classifica dei giganti del commercio mondiale. Un player ingombrante, con cui non smetteremo certo di fare i conti.

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