Industria 4.0, formazione a tappeto
Formare oltre 3mila tra manager e imprenditori per aprire la strada all’industria 4.0, quel modo di fare impresa in cui scienza e produzione si fondono. Un progetto, quello messo in campo da Confindustria Emilia-Romagna, che interesserà dapprima 1.100 imprese e ne “accompagnerà” circa 700 con eventi di formazioni e di coaching per un totale di oltre 23mila ore. Il tutto per un investimento di 3,5 milioni, oltre un terzo delle risorse (10 milioni d euro) che la Regione Emilia-Romagna, attingendo ai fondi Fse, ha messo a disposizione per vincere la sfida del riposizionamento in chiave hi-tech del sistema produttivo regionale, per metterlo in grado di competere a livello globale grazie ad una manifattura ad altissimo valore aggiunto.
«Formare le persone è la strada maestra per rafforzare la competitività – ha detto ieri Maurizio Marchesini, presidente di Confindustria Emilia-Romagna durante la presentazione di «Verso industria 4.0», il piano messo a punto per accompagnare le imprese della regione nei processi di innovazione e sviluppo – per una rivoluzione che è dirompente, basti pensare alla differenza tra stampante 3D e macchine utensili, ma che può vedere convivere tecnologie diverse tra loro.
Il nostro obiettivo è stimolare la consapevolezza negli imprenditori con un investimento forte da parte regionale e a cui si affiancheranno le risorse investite direttamente dalle imprese». Si tratta, ha concluso Marchesini, «di un’occasione straordinaria per dare la svolta al sistema produttivo dell’Emilia-Romagna anche perché pur essendo la crescita 2016 all’1%, e quindi più alta del sistema Italia, resta ancora troppo lenta. Dobbiamo riaccendere i motori, e questo è un tassello».
Quota % di imprese per settore con Roe superiore al 20%

Intanto la Regione continua spendere tutto quel che la Ue mette a disposizione (la quota della spesa ha saturato al 100% le risorse disponibili) per dare forza alle imprese sui mercati globali. «Il nostro obiettivo – ha spiegato l’assessore allo Sviluppo e al lavoro Patrizio Bianchi – è mettere a sistema istituzioni competitive, a partire dalle università, e settore industriale senza agevolare solo chi fa molto e già eccelle ma aiutare tutto il sistema perché occorre far avanzare il gruppo sui temi strategici del climate change, dei big data e della nuova industria della salute e dei bisogni». Tutto questo per far sì che in ambito di globalizzazione «il territorio continui a contare. E ciò accade solo se si sta negli “incroci” e non ai margini».
Del resto, quello della crescita omogenea e diffusa del sistema produttivo italiano e del “salto culturale” necessario verso l’industria 4.0 è un’esigenza imprescindibile e di cui ha coscienza, come ha sottolineato Luca Paolazzi, direttore del Centro studi di Confindustria, circa l’80% degli imprenditori italiani. «Il sistema produttivo resta fortemente eterogeneo con un quinto del totale delle imprese che ha performance rilevanti, un altro quinto che soffre e nel mezzo, un po’ meno dei due terzi del totale, che possono evolvere verso il gruppo di testa». I dati del Roe (di fatto la redditività) delle imprese leader è pari al 26% , quelle di “coda” sono a -17% mentre la media del gruppo di mezzo è tra il 10 e l’1 per cento». Una divaricazione delle performance che era iniziata prima della crisi e poi si è solo accentuata. «E che ora – spiega Paolazzi – va contrastata con decisione anche, come fa Confindustria, con progetti concreti sul territorio come quello che è stato messo a punto in Emilia-Romagna. Puntando, peraltro, con decisione sia sul brand Italia, che resta fortissimo, sia sul capitale umano, considerando i laureati una risorsa e non un costo».
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