Il mercato interno spinge i ricavi delle macchine per imballaggio

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By Federdat Dicembre 16, 2016 09:10 Updated

Il mercato interno spinge i ricavi delle macchine per imballaggio

«Crescere di due punti percentuali in questa fase del ciclo economico mondiale è un risultato importante, anche perché segue tre anni poco brillanti ed è un risultato determinato dalla domanda interna, che racconta la voglia di investimento della manifattura italiana». Con queste parole Enrico Aureli, neopresidente di Ucima (l’Unione dei costruttori di macchine per il confezionamento e l’imballaggio) presenta i dati di prechiusura 2016: 6,3 miliardi di euro di fatturato, in salita dell’1,9% rispetto al 2015 (chiuso invece con un leggero segno meno) grazie a un incremento a due cifre, +10,4%, delle vendite in Italia. Mentre arretra, seppur di poco (-0,1%), l’export.

Performance anomale di un’industria italiana del packaging che si gioca testa a testa con i competitor tedeschi la leadership mondiale e che anche in patria guida la grande famiglia dei produttori dei beni strumentali rappresentata da Federmacchine, dove coabita con sigle come Ucimu (macchine utensili)e Assocomaplast (macchine per materie plastiche). «Siamo molto soddisfatti dell’andamento 2016 sul mercato domestico, che ha superato i 1.300 milioni di euro in valore, e che non solo ha rafforzato la nostra posizione globale ma rimane per tutte le nostre aziende un’importante palestra per testare le più avanzate tecnologie. Che sviluppiamo per i settori più vari, perchè operiamo dal food al pharma, dalla chimica al tabacco», aggiunge Aureli. Fiducioso che il trend positivo della domanda interna possa continuare anche il prossimo anno, spinto dalle agevolazioni previste nel Piano Industria 4.0.

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Variazione % 2014/2013 e 2015/2014 (Fonte: Ucima)

Ma il dinamismo italiano non basta. Cinque miliardi di euro sui 6,3 di giro d’affari complessivo restano ancorati ai mercati esteri, anche se la quota export scenderà per la prima volta volta da anni, nel 2016, sotto quota 80% del fatturato totale. Ciò non può non destare preoccupazioni tra i 600 imprenditori italiani del settore, che di fronte alle incertezze geopolitiche planetarie sono molto cauti quando si parla di previsioni per il 2017. «La raccolta ordini oltreconfine – precisa il presidente – ha registrato negli ultimi due trimestri una contrazione che probabilmente si rifletterà sui fatturati dei primi sei mesi del prossimo anno. L’onda lunga delle crisi diffuse in modo disomogeneo in vari Paesi del mondo continua a rallentare la nostra corsa. Crediamo pertanto di poter ragionevolmente prevedere il mantenimento del trend registrato quest’anno».

A incidere negativamente è la frenata in atto in tre importanti macroaree, che assieme valgono oltre un terzo del business del packaging tricolore: Medio Oriente, Asia ed Est Europa. Con flessioni che hanno toccato punte del -47% in Cina nei primi nove mesi dell’anno, del -20% in Turchia, del -11,5% in Arabia. Così come nei primi tre trimestri ha perso un ulteriore 38% il mercato brasiliano, mentre sono saliti Indonesia (+23,8%), Egitto (+15,2%) e Messico (+35%). Resta intonato in positivo lo scenario sia sul mercato europeo, che assorbe oltre il 35% delle macchine automatiche italiane e dove ci si aspetta il via a misure analoghe a quelle previste dal nostro piano Industria 4.0, sia in Nord America. «È indubbio che l’elezione di Trump, per quanto inaspettata, avrà riflessi benefici sul nostro comparto – commenta Aureli – perché l’apprezzamento del dollaro faciliterà l’export e perché porterà a un ammorbidimento delle relazioni in Russia, dove la fine dell’embargo sarebbe per tutto il made in Italy una boccata d’ossigeno fondamentale».

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Anno 2015. Dati in milioni di euro e var % 2015/2014 (Fonte: Ucima)

La gara coi tedeschi, però, i costruttori italiani non la possono vincere attrezzati solo di tecnologie innovative. «Il processo di M&A in atto da alcuni anni deve accelerare – conclude il presidente – perché le dimensioni sono un fattore competitivo strategico nel villaggio globale. I concorrenti tedeschi fanno i nostri volumi con la metà delle imprese. Aggregazioni e acquisizioni sono un cammino obbligato per crescere, dentro e fuori i confini. Così come ci servirebbe avere alle spalle un Paese che si muove all’estero come sistema coeso, al pari di quanto succede in Germania».

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