Da Bari a Milano, i tentativi per legare l’economia che cambia e i territori in crisi
A volte, leggendo i numeri delle statistiche su Pil, export, produttività, si ha l’impressione di essere tornati al vecchio dualismo tra un Nord capace di stare agganciato al club della “prima Europa” e un Sud che arretra, con la vecchia Terza Italia del capitalismo molecolare ormai eclissata e priva di una sua visione.
Anche io sono d’accordo con chi ritiene che, tra le punte dell’innovazione “meccatronica” 4.0 e il crescere del “sommerso” difensivo, come scrive Antonio Calabrò, si stia enucleando un capitalismo intermedio che non è tale solo dal punto di vista economico, ma perché espressione di una dimensione sociale e di rappresentanza che rimane densa e strutturata. Siamo di fronte al ridisegno di una nuova geografia del rapporto tra capitalismo e territorio, in cui le vecchie definizioni e partizioni sono esondate dai loro vecchi confini; in cui Nord Ovest e NEC si sono scomposti, selezionati, concentrati, e ricomposti in un assetto diverso. Questo è il sintomo che l’economia italiana si sta ridefinendo sotto la spinta di due grandi fratture che la attraversano e che sono all’origine della crescita bassa e polarizzata che continua a caratterizzare il paese.
La prima frattura riguarda la polarizzazione tra una élite manifatturiera dinamica e una maggioranza di imprese in strutturale difficoltà. Tra l’arcipelago di eccellenze che fa i quattro quinti dell’export e il mare di imprese “impaludate” su un mercato interno asfittico, stanno venendo meno quei nessi che hanno sempre garantito la trasformazione della crescita in sviluppo. Verrebbe da chiedersi quanto questo modello, che pure ha consentito di reggere la crisi, sia sostenibile nel medio periodo.
Questa prima faglia ne porta con sé una seconda, che riguarda il piano dei rapporti sociali complessivi: l’avanguardia industriale non riesce più a mettersi sulle spalle la società, trasformando così aspettative decrescenti in fiducia e investimento. Vi sono però territori ed esperienze che suggeriscono l’emergere di filamenti di capitalismo intermedio, cioè di un modello sociale e politico oltre che economico in cui c’è un ruolo potenziale per le parti sociali che si trovano di fronte a un dilemma: accompagnare la competizione di chi ha superato la selezione e guarda a Industry 4.0 o rincorrere il declassamento?
A Bergamo con la coalizione delle rappresentanze dei piccoli, Imprese e Territorio, si ragiona di come riposizionare imprese e società di mezzo per passare dalla comunità locale alla visione della Smart Land; in Veneto con l’esperienza di Arsenale 2022, citata nell’ultimo rapporto di Fondazione Nord Est, rappresentanze, città e università provano a lavorare sul rapporto tra crescita e territorio. E a Sud? Lì dove il tessuto della società di mezzo fa più fatica a svolgere questo ruolo, si è avviato un piccolo laboratorio di capitalismo intermedio su iniziativa dell’imprenditore lucano Pasquale Carrano, che con la sua Mph ha organizzato nella sede aziendale a Tito in provincia di Potenza, un forum sul salto tecnologico di Industry 4.0. Partendo dall’utopia olivettiana della comunità dei produttori e nel contempo riformulando l’idea di impresa come nodo intelligente che media tra lo spazio simultaneo della globalità e il territorio, imprenditori, docenti universitari, professionisti ed esperti hanno creato un piccolo ma significativo laboratorio in cui socializzare conoscenza, saperi e reti. Obiettivo: capire come il salto di Industry 4.0 possa consentire al “calabrone italiano” di riprendere quota.
Insieme ad altri imprenditori protagonisti dei nuclei di nuova industria emersi anche a Sud, come l’avionica napoletana con Adler Group di Paolo Scuderi o i nuclei della meccatronica presenti in Puglia, si è ragionato di come far si che la logica potente del 4.0 non costituisca l’ennesimo salto verso la liquefazione dei legami impresa territorio, ma una occasione di nuovo radicamento. È sul terreno scosceso della terra di mezzo tra gli eccellenti e la palude, tra gli inclusi e i declassati, che va sperimentata una visione di innovazione e di digitale capace di confrontarsi con il concreto paesaggio industriale e sociale italiano. Oltre a essere più connesse, rapide, flessibili e snelle, le fabbriche intelligenti riusciranno a ricostruire quell’intimità dei nessi con il territorio senza i quali difficilmente c’è equilibrio tra crescita e sviluppo?
Per provare a dare risposta ne è uscita la proposta di costituire un laboratorio itinerante, uno spazio di confronto, che provi a connettere i luoghi della trasformazione. Partendo dal Nord Est focalizzando sulla trasformazione del capitalismo molecolare con la Cgia di Mestre, spostandosi poi sulla pedemontana lombarda e nelle Marche per cogliere la trasformazione della media impresa e dei sistemi di filiera, tornando a Sud per ragionare sulla dimensione dei saperi e dell’università, magari con il Politecnico di Bari. E poi ancora per riprendere la capacità dell’industria di essere veicolo di progresso sociale oltre che tecnologico, il tema del welfare, dell’inclusione e di una modernità sostenibile tra Napoli con Fondazione Con il Sud e Milano con Fondazione Eni Enrico Mattei. Per arrivare al tema dei temi, il rapporto tra industria, digitale e capitalismo delle reti, focalizzando su reti finanziarie, per accompagnare la trasformazione delle imprese; reti della ricerca per capire quale sarà la funzione nazionale e globale del progetto di Human Technopole nell’area ex Expo. In definitiva le grandi funzioni metropolitane di cui Milano è la porta globale sull’Italia. Un laboratorio territoriale da portare a Matera Capitale della Cultura 2019, convinti che fare impresa è fare cultura esplorando i nessi sociali e culturali, oltre l’idea di un legame deterministico tra innovazione e competitività; con l’idea che i benefici sistemici della stessa si diffondano anche grazie all’azione di minoranze imprenditoriali. Forse più che sullo storytelling delle eccellenze è ora di portare la moltitudine delle imprese verso una medietà operosa.
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