Cina economia di mercato: l’Italia schierata per il no
In una fase storica di crescente protezionismo la linea europea sul libero commercio, che appare ultimamente dominata da una certa tendenza al compromesso, rischia di rivelarsi controproducente. La posizione critica del sistema imprenditoriale italiano sui più recenti dossier, sostanzialmente condivisa dal governo, è stata ribadita ieri in un’audizione alla commissione Attività produttive della Camera da Lisa Ferrarini, vicepresidente Confindustria per l’Europa. «Sia la proposta europea sulla modernizzazione degli strumenti di difesa commerciale sia quella sul riconoscimento di fatto del Mes (status di economia di mercato alla Cina, ndr) sono largamente insoddisfacenti, il loro impianto penalizza significativamente l’industria italiana». Confindustria osserva che il governo finora si è mosso nella giusta direzione, e si aspetta che confermi anche nelle prossime tappe la contrarietà alle due riforme così come formulate, già espressa in sede europea dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.
Le due proposte hanno iter e campo di applicazione diversi, sebbene entrambe convergano a modificare i regolamenti di base antidumping e antisovvenzione della Ue. Sulla modernizzazione degli strumenti di difesa commerciale (Tdi), lo scorso 12 dicembre i Ventotto hanno approvato a maggioranza qualificata, con il voto contrario dell’Italia, una proposta della Commissione che verte intorno alla parziale disapplicazione della regola “lesser duty rule”, in base alla quale i dazi comunitari hanno il solo scopo di eliminare il danno subito dalle imprese europee. «Confindustria – spiega Ferrarini – ha sempre sostenuto la disapplicazione totale della regola, mentre la proposta subordina le eccezioni a requisiti e soglie quantitative talmente stringenti da renderla di fatto molto difficilmente accessibile».
Il secondo tema oggetto di critica induce a una più ampia riflessione sugli equilibri del commercio mondiale. Con una proposta presentata lo scorso novembre, la Commissione Ue intende modificare la metodologia nel calcolo dei dazi anti-dumping considerando la difesa dei settori economici, a prescindere dall’origine nazionale dei prodotti concorrenti, e superando in questo modo la distinzione tra Paesi con status di economia di mercato e Paesi senza tale status. Anche in questo caso il governo italiano si è dichiarato contrario. «Una proposta – dice Ferrarini – che presenta elementi di aleatorietà che equivalgono, di fatto, a concedere il Mes alla Cina senza che questa abbia dimostrato di averne raggiunto i requisiti».
Al di là della complessa disputa giuridica in corso con Pechino, ad ogni modo, secondo Confindustria la proposta della Commissione presenta diversi punti preoccupanti, tra i quali «il ricorso, per provare le distorsioni e giustificare la metodologia alternativa, a rapporti macroeconomici predisposti dalla Commissione solo su alcuni mercati esteri e settori». Inaccettabile poi, aggiunge Ferrarini, «il ribaltimento dell’onere della prova – fino ad oggi a carico dei produttori cinesi – di dimostrare l’esistenza delle distorsioni».
Non è affatto una partita scontata. E c’è la variante Trump a complicare tutto. La posizione Usa (che come il Giappone non intendono fare sconti commerciali alla Cina) può spostare grandi flussi di merci a basso costo verso l’Europa. «Più in generale – osserva Ferrarini a proposito di Trump e della sua linea protezionistica – il fatto che il principale attore industriale mondiale guardi alla politica commerciale come uno strumento per favorire il re-shoring degli investimenti produttivi dovrebbe far riflettere l’Europa, che sembra piuttosto impegnata a spalancare le porte ai concorrenti extra Ue».
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